Se il sorriso è l’accessorio più bello che possiamo indossare, è anche quello al quale abbiamo dovuto rinunciare nel momento in cui le mascherine sono diventate d’obbligo. La mascherina infatti copre gran parte del viso e, spesso, è davvero un ostacolo: aumenta la sudorazione e, impedendoci di leggere il labiale, limita la comprensione di molte parole. Oltre ai problemi pratici la mascherina ci ha privato del sorriso delle persone e, in generale, delle espressioni facciali, ovvero di quel linguaggio segreto del nostro viso che comunica moltissimo di noi. Bisognerà veramente trovare un nuovo modo di esprimersi: nell’uso della voce, del tono, delle parole giuste, nella semplificazione dei concetti. Ma anche gli occhi ci possono aiutare molto. Quello che si perderà in comunicazione verbale, sarà sostituito dagli occhi, dallo sguardo.
Gli occhi parlano di noi
A differenza della comunicazione verbale, spesso filtrata da condizionamenti sociali o dalle circostanze, gli occhi, non a caso definiti “lo specchio dell’anima”, comunicano in modo inconsapevole.
Difficilmente infatti possiamo mantenere il controllo sugli occhi e tanto meno sul loro grado di umidità o sulla dilatazione delle pupille. Questi piccoli dettagli possono rivelare moltissime informazioni sulle nostre emozioni, stati d’animo, intenzioni.
Le pupille per esempio generano dei messaggi molto sottili, difficili da percepire, ma comunque decifrabili. L’aspetto più visibile è la dimensione, che cambia, certo, a seconda dell’intensità della luce e anche delle circostanze, senza che possiamo controllarlo.
Normalmente le pupille si dilatano se ci troviamo di fronte a qualcosa o qualcuno che ci piace, non necessariamente in presenza di stimoli eccitanti sessualmente, ma anche in risposta all’interesse che si prova per un’opera d’arte come un quadro, per esempio.
Viceversa, se ci troviamo davanti a qualcosa o qualcuno che suscita in noi rifiuto o timore, le pupille tendono a contrarsi. In generale, le pupille piccole e contratte rivelano ostilità o cattivo umore, anche se non stiamo guardando direttamente l’oggetto che è fonte di queste emozioni. È facile osservarle in tutte le persone pronte ad attaccare: oltre a socchiudere gli occhi, noteremo anche il diametro delle loro pupille diminuire.
Tra gli atteggiamenti più o meno volontari che possiamo adottare e che coinvolgono lo sguardo, il chiudere gli occhi è considerato un modo per diminuire la percezione degli stimoli esterni e, dunque, un modo per concentrarsi. Diversi studi hanno osservato che, quando siamo impegnati nella soluzione di un problema, tendiamo a sbattere di più le palpebre, che è un modo per interrompere il flusso delle informazioni visive. Guardare nel vuoto, invece, sembra un modo per facilitare la creatività e la soluzione di problemi evitando il sovraccarico di troppi stimoli esterni.
Allo stesso modo, quando pensiamo in modo creativo, gli occhi iniziano a vagare e, secondo alcuni studi, dalla direzione in cui si dirige lo sguardo, si può capire quale emisfero del cervello è più coinvolto.
Infatti, movimenti a sinistra sono stati associati ad immagini mentali più chiare e giudizi estetici più dettagliati, ma performance matematiche più scarse, rispetto a quelli a destra (l’emisfero coinvolto è quello opposto). Se gli occhi guardano a sinistra, l’emisfero più attivo è il destro, quello associato al pensiero creativo e meno a quello analitico.
Secondo un altro studio, quando cerchiamo la risposta a domande inerenti argomenti linguistici o matematici tendiamo a muovere maggiormente gli occhi verso destra, al contrario di quando si tratta di questioni spaziali o musicali. In un altro caso ancora, chi muoveva di più gli occhi a sinistra aveva punteggi più alti in un test che misura la capacità di fare associazioni creative usando le parole.
Lo sguardo e le relazioni interpersonali
Nelle relazioni interpersonali lo sguardo, il guardare e l’essere guardati, è un elemento cruciale della comunicazione non verbale. Lo sguardo è un mezzo per veicolare l’immagine di sé che si vuole proporre agli altri, ma, non essendo tutti uguali, si riscontrano differenze individuali in relazione ai tratti della personalità.
Da alcune ricerche scientifiche condotte sul rapporto tra sguardo e atteggiamenti interpersonali è emerso che, se l’ascoltatore non guarda l’interlocutore che gli sta parlando, comunica indifferenza e rifiuto, oppure sottomissione e timore reverenziale.
Altre ricerche hanno anche evidenziato alcune differenze tra donne e uomini nell’uso dello sguardo. Le persone estroverse, dominanti o autoritarie, soprattutto le donne, fanno maggiore uso dello sguardo, soprattutto quando parlano, e tendono ad essere percepite in modo più favorevole, come più competenti, cordiali, socialmente abili. Per contro gli introversi, più i maschi rispetto alle femmine, hanno la tendenza a sfuggire lo sguardo altrui, venendo percepiti come poco affidabili. Gli uomini tendono a guardare di più mentre ascoltano.
Anche la frequenza dello sguardo è importante: le persone che guardano l’interlocutore frequentemente e in maniera prolungata vengono percepite come più sicure di sé e dominanti, ma solo fino ad una certa soglia, superata la quale l’atteggiamento diventa invadente e fastidioso.
Oggi più che mai saper utilizzare lo sguardo con la giusta intensità e la giusta frequenza diventa indispensabile per facilitare la comunicazione non verbale e le relazioni interpersonali.